07/11/2012 – Essere o benessere?

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Il giorno 8 novembre mi devo alzare presto, molto presto e prendere il primo treno per Firenze. Sono il moderatore di un dibattito che ha per oggetto il benessere. Dibattono l’economista, il temporary manager, l’ingegnere, l’architetto, la psicologa, l’ imprenditore e modera… il nullafacente.

Pensavo simpatico presentarmi al dibattito sul benessere in qualità di benestante, ma alla fine per non creare imbarazzo alla organizzazione, ho ripiegato, su consiglio di un esperto, su un  generico “professionista settore editoriale finanziario” .

L’organizzazione mi ha mandato in anteprima le tracce degli interventi, dai quali comprendo che ogni specialista individua come mission della propria disciplina il benessere della specie: l’economista parla di welfare, la psicologa di pienezza dell’essere nella relazione con gli altri, l’ingegnere del mantenimento di identità e differenze, il temporary manager di benefica tensione alla performance, il designer di impatto fisico positivo del colore e della luce, l’architetto di sostenibiità degli interventi e così via…

Ma, io mi chiedo: il benessere cosa è? Uno stato dell’essere? Uno stato fisico? Uno stato psichico? Un sentimento morale? Un obbligo sociale? Un obiettivo da raggiungere? Uno stato originario irrimediabilmente perduto? Un risultato economico? Un sentimento individuale? Una misurabile situazione di massa? Una versione semplificata della felicità? Una visione estatica?…

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E ancora: il benessere  è qualcosa a cui tendiamo “naturalmente”? O è qualcosa a cui siamo culturalmente indotti?  È il fine che giustifica i mezzi?  O una condizione accessoria al raggiungimento di fini che lo travalicano? Esiste un benessere o più benesseri ? E, se esistono più benesseri, sono tra lor confliggenti?

E se ci sono benesseri confliggenti, il nostro compito di spaesati militanti del Primo Mondo qual è? Quello di far quadrare il cerchio tra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica? (Ralf Daherendorf  1995).

Un esempio di benesseri che confliggono: nel libro di Daniele Marchesini, L’Italia a quattro ruote. Storia dell’utilitaria, è riportata una  riflessione di Benito Mussolini per il quale «Chiunque comperi un’automobile, sia pure la più piccola vettura di serie, diventa immediatamente antirivoluzionario». Il benessere tangibile rappresentato dall’utilitaria annulla il benessere prospettico rappresentato dalla rivoluzione!

Per ultimo non sarebbe il caso di fondare una “genealogia” del benessere?  E magari scoprire che abbandonare  alcuni benesseri e abbracciare alcuni, conseguenti, malesseri possa consentire di cogliere benesseri superiori? Non è forse questo il messaggio che le economie della sostenibiltà e della decrescita ci indicano?

E alla fine non siamo così stanchi di tutto questo benessere al punto da muoverci sulla scena come storditi Amleti dalla persa memoria che sbagliando battute pronunciano profonde verità?

Essere o benessere? È questo il problema?…

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