Mancio e recessione are back? Non la strategia della tensione, non ancora

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Mancio e recessione are back? Non la strategia della tensione, non ancora

«Mancio is back», bella lì. Rimettersi a pensare e a spendere da grande squadra, ricominciare a difendere a 4 e ad attaccare la Champions League. Aumenteranno di pari passo spese e illusioni, ma non esiste binomio che meglio descriva lo sport professionistico in ogni parte del mondo. Chi ne vuol fare un teatro di economica virtù non ne ha capito nulla: il professionismo, senza eccesso, non si dà. Il professionismo è esattamente andare al limite, e non certo soltanto sul campo. Esonerato prima sul mondo del Web che in quello vero, a Walter Mazzarri non resta che svestire i panni di “Piango” e godersi una paccata di quattrini. Mica male.

«Recessione is back», lo dice l’Istat, dopo aver rilevato il tredicesimo trimestre consecutivo in decrescita: -0,1 rispetto al periodo aprile-giugno 2014 e -0,4 nei confronti del terzo trimestre 2013. «Siamo tornati ai livelli del 2000», titolano mesti i giornali, gli stessi giornali che fingono di non sapere che delle renziane manovre economiche il meglio che si possa dire è che sono tardive. Ora discutere della loro bontà, discuterne nel merito – so di dire qualcosa di una tristezza infinita – non differisce poi molto delle questioni filologiche della Legenda Aurea.

Ha assolutamente ragione De Nardis, il capo economista di Nomisma, il problema è la mancanza di domanda interna, che segue come la pioggia al tuono quando l’inflazione punta con decisione al basso. E non spenderò una sola altra parola sulla burla del rilancio della domanda con gli 80 euro in busta paga. Il solo fatto di ragionarci su – considerando le già mille evidenze della sua disfatta – mi fa sentire un perfetto imbecille. Sarebbe forse il caso di impedire che la politica degli annunci ci sottragga ancora del tempo dopo averci sottratto malriposta fiducia.

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Leggete Alesina e Giavazzi sul “Corriere”. «Insomma, una legge partita con buone intenzioni si è trasformata in una manovra irrilevante per la crescita». Ecco, credo che dedicarsi all’irrilevante non sia né buono né saggio, né personalmente né politicamente parlando.

A contestare le politiche del governo sono scesi ieri nelle piazze di 25 città italiane migliaia di manifestanti, per uno sciopero indetto dai sindacati di base che per la prima volta è stato definito “sociale”.

Scontri a Padova, Roma e Milano, dove la polizia ha finto per l’ennesima volta di non aver capito che a bloccare il passaggio ad un corteo si ottengono scontri, bottiglie e petardi da un lato e manganellate e fumogeni dall’altro. Che è meglio non farlo, se non è necessario, e non lo era.

Non voglio credere a quanto pure mi risulta, che in realtà il percorso verso Piazza Fontana che poco avvedutamente si è deciso di impedire fosse stato autorizzato. Servivano allora le foto degli scontri? Serviva diffondere il bisogno di un rappel a l’ordre, di un po’ di poliziesco rigore? Nel Palazzo lo devono capire che a togliere la dignità a milioni di persone si genera dolore, umiliazione, rivolta. Non si chiede di fare l’impossibile, si chiede soltanto un po’ di lealtà.

Intendo per lealtà, per esempio, smetterla di prospettare soluzioni di politica economica incentrate su una crescita a venire che non c’è, e che non c’è qui, non nel mondo intero, l’Europa sta svoltando. Noi no. Solo noi, lo dobbiamo capire. 

Due cose, due banalissime cose: tagliare gli sprechi davvero ed un filo di redistribuzione della ricchezza andando a toccare non più i diritti, ma i privilegi acquisiti – nessun diritto fondamentale quale quello alla sopravvivenza può essere solo di alcuni in uno stato democratico – sarebbe davvero così folle, così intollerabilmente eversivo, così violento? O è violenza cinguettare del nulla davanti a questo disastro?

A presto. 

Edoardo Varini

(15/10/2014)

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