Quello che tutti vogliono ma che nessuno fa
Expo alle porte. Nuove regole di etichettatura dei cibi. Stile di vita dell’“homo oeconomicus”.
La situazione è la solita: una generale inconsapevolezza, condita da molto disinteresse, poca attenzione, ma – come al solito – tante lamentele.
Stiamo parlando di cibo, ossia di una “religione” tutta italiana, con molti adepti e ancor più (presunti) sacerdoti. La buona cucina è anche il nostro prodotto di punta, il nostro marchio. Nonché talvolta l’oggetto di stereotipi e classificazioni un po’ fuori dal tempo.
Stiamo parlando anche di salute. Perché la salute è una delle cose più importanti nella vita di una persona e le nuove tendenze sono orientate – fortunatamente – più a prevenire, che a curare. Ciò sebbene le cd. “malattie del benessere” siano in aumento e vadano di pari passo a modernità (leggi: nuove comodità), benessere sociale (leggi: ricchezza e nuove tecnologie), crisi (leggi: risparmio).
La salute, è ormai noto, dipende molto dallo stile di vita. E lo stile di vita è la vita di tutti i giorni. Cosa mangiamo, cosa facciamo, cosa pensiamo. E fin qui, quantità. Ma esiste anche – e spesso ce ne scordiamo – la qualità: come mangiamo, come facciamo le cose, come la pensiamo. E questo è il fulcro della questione.
Spesso ce ne stiamo distrattamente stravaccati su un comodo divano di diritti, imbabolati a guardare gli specchietti per le allodole, col cervello spento. Poi quando udiamo cose che non vorremo sentirci dire, cambiamo canale. E quando non troviamo il telecomando dei diritti, perché dimenticato con disinteresse da qualche parte, ci rendiamo conto di quanto sia fondamentale la scelta e di quanto ci può mancare. E se la parabola delle regole non va, ci sentiamo perduti e iniziamo a starnazzare al call center della giustizia, rivendicando questo o quel diritto.
Io, io, io. Mio, mio, mio. Voglio, voglio, voglio. Posso, posso, posso.
Il “devo” sta lentamente scomparendo, per andare a far compagnia al congiuntivo, alle buone maniere… e a una vita salutare.
Il diritto alla salute è codificato nella costituzione (art.32), nel senso di sanità. Ma più o meno vagamente identificato con un diritto al benessere. Poi tante carte dei diritti inalienabili qui, dichiarazioni dei principi fondamentali là. Ma non sta scritto da nessuno parte che l’alimentazione è un diritto fondamentale. Eppure è uno dei pochi, essenziali, presupposti per la vita.
Ma cos’è l’alimentazione?
Le alghe liofilizzate e le polveri proteiche di cui si nutrono gli astronauti sono “alimentazione”, certo. Come lo è il cibo spazzatura pieno di conservanti, coloranti, antiossidanti e tante altre – troppe – cose artificiali messeci dentro.
No. Il diritto all’alimentazione non è un mero diritto a nutrirsi, solo per sopravvivere. Dovrebbe essere un reale diritto a mangiare cibi naturali e sani. Ma non esiste neppure un vero e proprio diritto al cibo. Esistono – in materia – due tipi di interpretazione delle carte fondamentali: stretta e ampia. La stretta ci dice che che chiunque ha diritto a procurarsi il cibo senza ostacoli da parte di terzi. L’ampia vorrebbe ravvisare un diritto a che lo Stato (ossia la collettività) provveda quando una persona non sia in grado di procurarselo. Ma nella realtà del Diritto, non esiste nulla di tutto ciò. Poi c’è la Carta di Milano, che si ripromette di sottoporre all’ONU la tematica in parola.
Nessuno però parla della qualità del cibo.
Sì, certo, c’è il Bio. Ma il Bio (o “Organic”, come viene chiamato all’estero), non è per forza non trattato. Sono ammesse deroghe. Il vero Bio era quello che mangiavano i nostri nonni …ed era a km zero, era fast ed era food (più buono e veloce di un pomodoro appena colto è difficile).
Ma il fatto è che non è solo il modo in cui viene coltivato o allevato il cibo. È tutto l’insieme. Guardiamoci attorno ed iniziamo ad aprire gli occhi: ogni singola persona, ogni giorno, avvelena il luogo dove vive ed avvelena se stessa.
Non si può vivere come San Francesco, è vero, e non si può vivere fuori dal mondo. Ma un po’ di consapevolezza non farebbe male. Ancora una volta è inutile puntare il dito verso le aziende, perché inquinano, i petrolieri, perché bloccano l’avvento delle auto elettriche, le mafie perché sotterrano i rifiuti tossici. I cattivi non sono (solo) sempre gli altri.
Le aziende, i petrolieri, persino le mafie, inquinano per noi: ogni singolo capo di vestiario che indossiamo costa migliaia di litri d’acqua e cicli e cicli di lavorazione chimica, con i relativi residui. I prodotti che usiamo (detersivi, detergenti, trucchi ecc.) costano tonnellate di scarti chimici, di immissioni aeree. Avete mai letto le etichette del contenuto dei deodoranti?! ..sveliamo un mistico segreto: la pelle assorbe.
Le acque grigie (ossia lo scarto di quando laviamo i piatti, facciamo il bucato e laviamo noi stessi), sono scarti chimici. E non svaniscono quando scendono nel lavandino. Dove pensate che vadano a finire?!
Quando buttiamo il sale per le strade per evitare che si formi il ghiaccio, dove pensate finisca?! …e pensare che i romani lo usarono simbolicamente per non far crescere più nulla, quando rasero al suolo Cartagine. Un litro d’olio dei nostri fritti, buttato nel lavandino o nel wc, contamina circa un milione di litri d’acqua. Un milione! È la quantità d’acqua consumata in media da una persona occidentale (e ne consuma tanta una persona occidentale) in 14 anni.
Quando non abbiamo voglia di fare la raccolta differenziata, quando buttiamo le pile distrattamente nell’indifferenziata, quando gettiamo un mozzicone, una gomma da masticare, una cartaccia per terra, avveleniamo il terreno nel quale coltiviamo il nostro cibo (di qualità).
Il terreno nel quale pascolano gli animali che alleviamo. E ciò se va bene. Perché se no vengono nutriti forzosamente negli allevamenti intensivi (buttare un occhio su Youtube per capire cos’è un allevamento intensivo), con farine animali (ad esempio di pesce cd. spazzatura: ossia il pescato non commerciabile. Che poi è fondamentalmente l’abc delle nostre faune protette). Animali che comunque vengono bombardati di vaccini, antibiotici, ormoni e chi più ne ha (e ne hanno, fidatevi), ne metta (e ce ne mettono, fidatevi).
Ci piace la carne in scatola, bella rossa. Peccato che quando facciamo il bollito in casa è marrone. Ma un po’ di conservanti, di coloranti, di accrescitivi di sapidità, di antiossidanti, di ormoni, di metalli pesanti, cosa saranno mai!? Manco mettessero benzina nei nostri cibi …già: come l’olio di palma (presente ovunque), che viene usato anche come carburante e a cui coltivazione è alla base della deforestazione amazzonica. A proposito di deforestazione: sul nostro territorio – e non abbiamo l’estensione della Russia –, ogni anno costruiamo una nuova Milano. Ogni metro quadrato cementificato, è un metro quadrato in meno di San Marzano, vitigno autoctono, ulivi e tanto altro.
Suvvia, tutta questa moda del naturale: non si può può vivere da malati per morire da sani! Che poi i morti non si decompongono nemmeno più per quanti conservanti mangiamo. Hai voglia a parlare di miracoli. Esiste un filmato in rete, che mostra un hamburger di una famosa catena, aperto dopo anni (anni!!!): è ancora intonso. Lo è sì, ma solo alla vista. Ed è quello che accade col cibo che ingeriamo tutti i giorni.
Ma l’importante è spendere poco, mangiare qualcosa di gustoso, bello, pronto e veloce, avere tante comodità, non fare sforzi e non porsi problemi troppo grandi. Tanto “lo fanno tutti”.
Gli antichi dicevano che siamo ciò che mangiamo. Speriamo avessero torto.
…ma comunque c’è il Bio che ci salva, no!? E chi è che salva il Bio?
La verità è che la libertà è scelta consapevole e la consapevolezza deriva dall’educazione e dalla cultura, così come i diritti derivano dal sacrificio di ognuno e dall’etica del rispetto, dell’adempiere ai propri doveri.
Poi certo, potremo anche forse distruggere il mondo (che, a proposito, significa “pulito”), ma tanto quando c’è la salute c’è tutto…