04/06/2012 – Cosa c’è nella valigetta di Marcellus Wallace

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Gli spettatori non lo sapranno mai. Lo sanno i criminali che aprono la  valigetta e sul cui volto estasiato il misterioso contenuto irradia una luce d’oro.

La valigetta di Marcellus Wallace è un esempio riuscito di  “McGuffin” : un espediente narrativo che enfatizza un particolare del racconto per creare suspense e curiosità.

Che nella valigetta ci siano  gioielli, o lingotti d’oro o l’anima di Marcellus Wallace fa poca differenza. Di certo nella valigetta c’è  qualcosa che ha un valore riconosciuto sia da Marcellus, sia da tutti coloro che  vi “guardano” dentro.

Tra i valori intimamente colti e universalmente condivisi quello del denaro ha un fascino particolare in quanto la sua evidenza valoriale è direttamente proporzionale alla sua indeterminatezza. Proprio questa immediata evidenza rende difficoltoso se non addirittura insidioso il percorso verso la sua origine. Poco ci aiutano in questo intento gli economisti, con rare eccezioni,  e i filosofi, con rarissime eccezioni.

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In questo percorso, ammesso che lo si voglia compiere, poeti e  alchimisti risultano più utili e sicuramente più suggestivi di professori e di scienziati.

Illuminazioni poetiche e rivelazioni alchemiche favoriscono il percorso verso l’origine “latente” delle cose soprattutto di quelle immediate ed elementari:

A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu: voyelles

Je dirai quelque jour vos naissances latentes

Io dirò «quelque jou» : così, prima o poi, senza fretta.  In modo che il mio fare sia Opera,  e non assuma mai sembianza di un’attività o, peggio, di un lavoro.

A caccia di un principio che potesse far convivere valore d’uso e valore di scambio o meglio, scuoterci dalla placida sponda del valore  d’uso (per il quale un apriscatole è solo un apriscatole) e favorire il nostro passaggio al mortuario attivismo del valore di scambio, Adam Smith, uno che di valore se ne intendeva, concluse che:

«Il valore di una merce, per la persona che la possiede e che non intende usarla o consumarla lei stessa ma scambiarla con altre merci, è quindi uguale alla quantità di lavoro che essa la mette in grado di comprare o di comandare.»

È la maledizione di Adam Smith, che mi perseguita da quando sono nato ed alla  quale sono seguite le maledizioni di Ricardo, di Marx  e di chi più ne ha ne metta.

Il lavoro valore circola nelle mie vene, plasma le mie idee, le mie convinzioni. Possiede l’ineluttabilità di ciò che è giusto, condiviso, morale necessario.

«Il lavoro è dunque la misura reale del valore di scambio di tutte le merci.»

Nel mondo occidentale con sempre meno lavoro, e quindi con sempre meno valore, le parole di Adam Smith mi turbano come le melliflue parole in ferro battuto sul cancello di Auschwitz.

Per fortuna al mondo c’è la valigetta di Marcellus Wallace. Io che l’ho aperta vi ho scorto la fonte del valore promanare immense ricchezze. Io che l’ho aperta garantisco che in essa  non vi è traccia né di lavoro, né di lavoratori.

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