Ho compilato il questionario di iscrizione alla biblioteca di quartiere. Nella spazio riservato alla professione ho scritto: disoccupato. La bibliotecaria ravvisando in me un disagio, mi ha informato, con dolcezza, che quello della professione è “un campo non obbligatorio”.
Percepisco e comprendo l’imbarazzo dei miei ospiti quando a cena desiderano presentarmi. Pronunciando la parola disoccupato temono di ferirmi. Per superare il disagio, il loro, dicono che mi occupo di economia, che sono un esperto di finanza.
Alla parola finanza gli astanti si dichiarano immediatamente “non esperti” e iniziano a pormi delle domande alle quali non so rispondere, chiedono pareri su cose che non conosco e avviano dibattiti nei quali loro dimostrano di avere idee chiarissime e io di avere la testa invasa da un gas appiccicoso a metà strada tra la nebbia e lo zucchero filato.
Loro, i non esperti, hanno chiara, ad esempio, la dicotomia tra economia reale e finanza. E a riguardo, loro, i non addetti ai lavori, sono certi che la prima sia il bene e la seconda sia il male.
Io rimango stupito da quante cose quelli che fanno “un altro mestiere” hanno capito del mestiere e degli ambiti che io non pratico e non frequento. Loro hanno capito che la partita della finanza non si gioca nei salotti o nelle sale da pranzo bensì in gigantesche cucine industriali dove lo sporco si accumula negli interstizi tra le piastrelle. Cucine con ampie aree buie dove si muovono, non pacifici cuochi obesi con in testa candidi e vaporosi cappelli, bensì truculenti macellai dai grembiali insanguinati.
Tutto sommato io la penso come loro. Con il permesso di Roosevelt, di economia reale se ne può parlare davanti al caminetto. La finanza, quella vera, non è un passatempo astratto ma un esercizio di potere riservato a pochi. Il mio amico Alfred Jarry creatore di Pere UBU, la più pura e compiuta rappresentazione del potere insaziabile, a riguardo è chiaro:
Ubu: Vengo dunque a dirti, a ordinarti e a intimarti che devi produrre ed esibire prontamente la tua finanza, altrimenti sarai massacrato. Su, miei signori saloppini di finanza, vettureggiate qui la vetturina da phynanze.
Stanislao: Sire, noi siamo iscritti al registro per centocinquantadue rixdales che abbiamo già pagato . .
Ubu: E’ possibilissimo, ma ho cambiato il governo e ho fatto mettere sul giornale che tutte le tasse si pagheranno due volte, e tre volte per quelli che potranno essere designati ulteriormente. Con questo sistema farò presto fortuna, allora ucciderò tutti e me ne andrò ...
E non a caso Ubu è armato di uncino e bastone di finanza possiede un cavallo da finanza e la vetturina da finanza. La finanza è un attributo appiccicato al reale ma così appiccicato da formare con essa un corpo unico. Di conseguenza, se male sono le res cogitans, la finanza, bene non possono essere le res extensa, l’economia reale.
Ammesso che esista, cosa della quale io non sono certo, il luogo dell’immediatezza e della trasparenza, che alcuni chiamano il libero mercato, è limitato verso il basso e verso l’alto da due aree di opacità assoluta.
In basso, l’area dell’economia reale ovvero l’area che cela “l’arcano della produzione del plusvalore” nella fase industriale del capitalismo in cui il possessore del denaro incontra il possessore della forza lavoro .
In alto, l’area della finanza nella quale si realizza l’incontro tra il possessore del denaro e il possesore del potere politico, ovvero l’incontro che – secondo Braudel- ha consentito al capitalismo «di prosperare ed espandersi “incessantemente” nel corso degli ultimi cinque o seicento anni. Prima e dopo le sue avventure nei segreti laboratori della produzione».
In sostanza: la distinzione tra lavoratori di marmo, diplomati all’ITIS, buoni, e signorini della city laureati alla Bocconi, cattivi, non è così netta come i non addetti ai lavori vorrebbero farmi intendere.