Fra’ Galdino, Isidoro e fra La Madre della Sposa sudista
«Era la primavera, il maggio luminoso e profumato dell’acacia e dell’ippocastano, dei glicini e dei salici, dei laghi calmi, dei fiumi tardi e dei navigli leni, ove lasciai la verde Lombardia, m’allontanai dalla mia Milano, m’allontanai da voi.»
Per dichiarazione dello stesso Vincenzo Consolo, fu Leonardo Sciascia a utilizzare e reintrodurre il modus narrandi illuministico manzoniano e per suo consapevolissimo arbitrio.
Una sentenza – autoriduttiva a dismisura – che riecheggia quale lascito testamentario inverso (da erede a de cuius), di un uomo che di scrittura se ne intendeva.
Di quel Vincenzo Consolo, del quale ora siamo orbati, di quel Vincenzo Consolo che affidò alla “prosa d’arte non vacua” il suo dire – in gaddiano pastiche – siciliano di Sant’Agata di Militello, figli entrambi (con Sciascia) di una sola ma diversa Sicilia ma che con Comiso – terra nativa di Gesualdo Bufalino – forma il suo perfetto triangolo – geografico e culturale – trittico idilliaco, miracolo della narrazione, retablo della lingua.
Come lo è il “Retablo” consoliano, viaggio (non addio!) tra le saline e i monti ruvidi di quella Sicilia estasiata, viaggio della fuga e della salvezza-ricerca, viaggio in attesa di un non ritorno.
«Addio, promessa d’ogni essenza, sorgente di fragranza, corona delle zagare, goliera dell’aurora. Addio, ramo di miele, fanciulla fantasiosa, stellaria vanigliata, regina dei giardini… Che mai ti sfiori vento, gelo, occhio indifferente, mano che non sia gentile… T’accolga un’alta reggia, una segreta alcova, un tiepido giaciglio… Divieni donna piena, fruttifera, amorosa, a te la buona sorte, vergine ingallata, zingara maliosa, figlia e sposa mia bambina, narancia affatturata.»
E la madre infine (e qui della discordia) non è una “Agnese del raccordo e della paura”, compassionevole e carica di Dio; il fraticello di questua non è dunque un Fra Galdino, ma un misto di fede ed Egidio, à rebours ovviamente.
Fra Isidoro empiva il panaro che Rosalia calava a colui, empiendovi cerase, ova, cassatelle e cedrate, per comprare una bolla che non fosse soltanto di assoluzione, ma di lasciapassare oltre quell’inferno e accozzaglia di genti in cui viveva!
E sempre, per l’anima purgante!
Fra Isidoro aveva conosciuto Inferno e Paradiso, insieme a Rosalia e la di lei madre, in quel vico, quella madre che tradì l’amore puro per l’amor venale.
E subito fu più Paradiso… forse mezogna!
Ma da frate?
Bella la verità!
Ma Isidoro avrebbe patteggiato l’anima sua, per la sua Rosalia, spacciato per tesoro saracino le poche onze ricavate, con le sacre-sacrileghe bolle del padre guardiano, cui sottrasse misera questua e pure i ferri gli toccarono.
Fra’ spretato, perso nel cammino e ingabbiato, smonacato e monco del suo convento, torvo, nero come un San Calogero e chiuso nel nero della barba, storto per le bisacce!
Fra’ di pochissima fe’!
Fra Galdino aveva Lucia, alla quale dimandar noci.
Fra Isidoro aveva Rosalia, alla quale questuar amore, carnale, vero e viscerale.
Lucia e Rosalia.
Bella la verità!
Lucia di Luce, Lia di Liare e di Liaisons, per rigiocare le parole con cui giocava già il “nostro”!
Lucia, casta e pura, in attesa di giuste e provvide nozze.
Rosalia, venduta in prezzo di libertà e affrancamento, da povertà e perigli.
Echi di “romanzi storici” che precorrono e percorrono questa Italia divisa allora, divisa ora, dai monti di Lecco a Selinunte greca, in mezzo a due secoli di dura storia, storie di conflitti, unioni e disgregazioni, soprusi anche religiosi e dunque sono proprio questi fraticelli quel trait d’union tra lo spaventoso potere temporale e la fede vera, umile e questuante e forse spretata!
Bella la verità!
Di Rosalia, Fra Isidoro vide ancora e soltanto la statua della Veritas…
Ma meglio spretati che corrotti, in un Paese che abbisogna di cose nuovamente vere, di passioni perdute e di amori divisi forse, come quelli che da sempre – “viandando” proprio da Fra Galdino a Fra Isidoro – da Manzoni a Consolo, ci sono stati narrati.
Da L’Addio ai Monti all’addio a un’adorata Sicilia, per la quale Vincenzo Consolo temeva che, presto o tardi, uno dei due sarebbe sparito.
E allora le noci di Fra Galdino diventano le vettovaglie perniciose e peccaminose di Fra Isidoro, si uniscono, si fondono nel romanzo universale ch’è l’esistenza tutta, assai poca invero!
Rosa-Lucia adorate, Rosalia, nessuna Provvidenza sarebbe bastata a salvarla da quella bagascia di sua madre!
Lucia perduta, rapita e resa.
Rosalia fugata e persa, nascosta al mondo, per non esserne vittima.
Monaca lei, ora, per sua scelta, ma non per fede e non nel senso reale… come tanti oggi!
Se n’è dunque andato Vincenzo Consolo, siciliano in Milano per scelta, milanese in Sicilia per amore.
Contraddizioni ed eteronimie?
Quante oggi?
Se n’è dunque andato quasi con Giorgio Bocca, con il quale, da sponde diverse, condivise battaglie, l’ascesa del berlusconismo in primis, ma trovandosi profondamente diviso dal Bocca razzista, sprezzante, controverso, e denunciante un Meridione lacero, di splendidi paesaggi, ma di “gente orrenda”.
Consolo sicuramente, con tutte le umane contraddizioni, non era questo – eh no, Bocca! – non rappresentava questo, ma raffigurava e figurava un modo di scrivere, di un artista vero.
Di fronte a questo, deve gioco forza cadere il velo, quasi come la manima di Cecilia.
E per questo, non andrà dimenticato, si sentiva italiano prima di tutto, come tutti noi… italiani veri, naviganti, inventori e artisti… è ora che Beppe Severgnini italianizzi la sua rubrica!
Sebbene Innominato e Innominabile tornino spesso a regnare su noi!
Dura la verità!
Valerio Peracchi