Farina: confessa!

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Farina: confessa!

Radiato dall’Ordine perché prezzolato dai servizi segreti, oggi Renato Farina ci dice «Dreyfus sono io. L’articolo per il quale Sallusti rischia il carcere l’ho scritto io».

Non sono abituato a dare dell’infame alle persone, anche quando forse lo sono, come invece ha fatto Mentana con il prezzolato su Twitter, poco fa. Per meglio dire, non sono abituato a farlo pubblicamente, perché il codazzo di assensi scontati mi farebbe sentire un imbonitore e la cosa mi deprimerebbe.

Come quelli che davano del vigliacco a Schettino, quello dell’«Amm’à fa l’inchino al Giglio», quelli che tirano i sassi per primi per il timore di meritarseli loro.

Ma certo che Farina e Schettino sono stati vigliacchi, e allora? Non bastano i fatti a dirlo? Ci vogliono anche gli additatori senza macchia e senza paura? «Il coraggio uno non se lo può dare», disse di sé Don Abbondio al cardinal Federigo. E quello: «E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero che v’impone di stare in guerra con le passioni del secolo?».

Ma io non sono nemmeno il cardinal Federigo, non ho né potrei mai avere l’autorità morale di far murare una Suor Virginia in cella e apostrofarla dopo quattordici anni di segregazione atroce in guisa tale:

«E così dunque, femmina spudorata, non ti vergogni di presentarti al tuo pastore? E così dunque tu, infame, osi anche stare davanti ad un presule? Tu, del tutto indegna di stare sulla terra, degna piuttosto di ogni supplizio, degna di essere rinchiusa tra due pareti, finché sei viva, come pure di essere sepolta all’inferno, una volta morta. Di’ sù, di’ chiaramente una buona volta se sei proprio quella stessa che in passato era tanto potente! Non sei stata abbastanza punita sino ad ora? Desideri ancora che si faccia ricorso a carceri più strette, che ti siano comminati supplizi più severi? Che vuoi, femmina miserabile? E stai attenta a non alzare gli occhi impudichi, indegni di fruire e di godere la luce».

Io, dopo aver sentito del caso Sallusti, mi sono limitato a leggere l’articolo incriminato. E ho visto una cosa che non giustificava 14 mesi di carcere, giustificava l’ergastolo. Leggo: «Basta l’Eneide di Virgilio [e di chi se no?], la saggezza classica. L’orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio».


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Sallusti, caro Sallusti, tu che ti vanti di avere le palle: io apprezzo il tuo coraggio. Però io l’avrei subito detto che era di Farina l’articolo. E non per viltà, credimi, ma per non fare la figura dell’asinone da metter dietro la lavagna. Per questa cosa che ora ti dirò, per la storia del figlio di Priamo.

Dreyfus si riferiva ad Ettore? E il vago “i greci” – quando lo sanno anche i miei figli dodicenni, e lo sanno da tempo, che è stato Achille –  gli spietati assassini, in quale libro dell’Eneide li avrà trovati il novello Don Abbondio?

Nel Primo, è vero, ma en passant. «Achille intorno de l’iliache mura / tre volte tratto a forza Ettore aveva / e a prezzo ne vendea la salma. Oh allora / mette dal cuor profondo un gran sospiro, / quando le spoglie, quando il carro, quando / esso innanzi si vide il morto amico/ e Priamo che tendea le palme inermi!». Fine. Tutto qui.

Non è, Farina, che avevi in mente l’Iliade? Anzi, l’Iliade di Omero, per dirla a modo tuo? Perché è qui che ci si dilunga sulla morte di Ettore davanti agli occhi del padre, in un libro intero, il XXII. È qui che è scritto: «All’atroce spettacolo si svelse / la genitrice i crini, e via gittando / il regal velo, un ululato mise, / che alle stelle n’andò. Plorava il padre / miseramente, e gemiti e singulti / per la città s’udìan, come se tutta / dall’eccelse sue cime arsa cadesse.».

Io penso fosse questa la citazione che volevi fare, Farina. Confessa anche questo, già che ci sei. Ti assicuro che per certi versi non è una colpa minore.

A presto.

Edoardo Varini

(27/09/2012)

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