La crescita sarà trainata dalla domanda interna, che seguirà la crescita dell’occupazione stabile. Il resto sono chiacchiere
Non c’è verso, bisogna dire che questo Paese è in ripresa. Sai come devi fare? Snoccioli qualche dato fuori contesto, senza parametri di confronto. Puoi dire, per esempio, che la produzione industriale è in recupero a maggio dello 0,5%, ma senza dire che nel primo trimestre era calata dello 0,3%. Oppure puoi asserire che in un anno abbiamo avuto 326 mila occupati in più, e tacere che la tendenza è quella di reintrodurre i contratti precari ed anche che il tasso di disoccupazione italiano (11,1%) è il terzo peggiore dell’Unione Europea.
Puoi anche fare un figurone – se sei al governo – sostenendo che la spesa alimentare nel 2016 è cresciuta dell’1,2%, perché hai ragione. Perché è così. Ma diverso è l’effetto se non ti dimentichi di dire che nel 2015 era calata di pari entità e che oggi, giugno 2017, è inchiodata. Parliamo di uno 0,4 in più un mese e in meno l’altro.
Ma noi italiani siamo contenti così, perché quel che ci manca è l’idea stessa di Paese. Il nostro sguardo arriva fino al limitare del nostro orticello e temporalmente non travalica il paio di mesi. Eppure le cose ce le dicono chiare. Nel rapporto Ocse è scritto nero su bianco che la “fenomenale” crescita del Pil dell’1% prevista per il 2017, l’anno seguente scenderà allo 0,8% «a causa della stretta fiscale già adottata e pari all’1% del Pil».
Gli economisti parigini ci ricordano altresì che se i 20 miliardi stanziati dal governo per la ricapitalizzazione bancaria andassero tutti lì, il debito pubblico aumenterebbe dell’1,2 del Pil. Per dirla altrimenti: la ripresa auspicata per l’anno in corso dll’1% è già stata mangiata tutta per salvare le banche.
Le economie non si riprendono per incanto. A trascinarle è il mercato del lavoro, che si traduce direttamente nell’aumento della domanda interna. L’export è qualcosa che va e che viene, dipende molto, dipende troppo, dalle congiunture e dalle politiche monetarie. È la domanda interna che ti racconta lo stato di salute di un Paese.
Un solo dato: se andiamo a vedere l’andamento del Pil dei 28 Pasi UE tra il 1995 ed il 2008, ci accorgiamo che per 16 di essi la crescita è stata determinata dalla sola domanda interna. Per altri 10 di loro la domanda interna ha contribuito per l’80%. Una quota inferiore è stata solo per Malta e Lussemburgo.
Le cose sono semplici. Ciò che le complica è che non ci sono scorciatoie. La precarizzazione del lavoro, per di più senza alcun sostegno al reddito ed al reintegro del lavoratore da parte dello Stato, è il vizio di origine. O si rimuove quella o quel che ne segue è dapprima iniqua, poi intollerabile, ed infine criminale fuffa.
A presto.
Edoardo Varini
(15/06/2017)