«Can we all slow down and enjoy right now»

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«Can we all slow down and enjoy right now»

“Lo squalo di Baltimora”, Michael Phelps, occupation: professional swimmer, 22 medaglie olimpiche nell’acqua, che a sette anni aveva paura a metterci la testa sotto, sotto l’acqua, dove se non sei uno squalo le cose le vedi con i contorni sfumati ma le vedi, per Dio, come il tuo avvenire in una sfera di cristallo. Come è capitato a lui, Michael Fred, l’uomo nato per fare la pubblicità ai Kellogg’s, ma anche per perderla, dopo essere stato sorpreso a fumare con un bong, una pipa ad acqua, solitamente usata per i tabacchi aromatici, è vero, ma assai più spesso – e specialmente durante i party universitari – per meglio gustarsi la marijuana.

L’acqua, anche lì, ma ’sta volta a fregarlo. Ma lui i Kellog’s ha continuato a mangiarli, insieme a tre uova fritte con sandwiches con aggiunta di formaggio, lattuga, pomodori, cipolle fritte e maionese, due tazze di caffè, un omlette di 5 uova, tre fette di pane tostato con zucchero a velo e tre frittelle al cioccolato. Questa la colazione della dieta da 12.000 calorie al giorno che a parte lui può reggere solo, credo, un drago di Komodo.

L’ho visto nuotare la 21esima medaglia insegnando l’eleganza alle farfalle: penso che alcune vite abbiano una forte componente mitologica, perché il mitologico altro non è che quel qualcosa in cui non riesci a distinguere potenza e grazia.

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Potenza e grazia. La stessa di Jessie J che sale tre vote sul palco in “nude bodysuit” a dire che è lei la più brava e la più bella. Se fossi una delle Spice Girls, o Annie Lennox, o Kate Moss o Naomi Campbell mi sentirei tanto come la Charlize Theron Ravenna, la Regina cattiva di “Biancaneve e il cacciatore” di Sanders, che io e i mie due ex piccoli e mia moglie e il mio più caro amico abbiamo visto nell’afosa serata dell’altrieri con a sinistra una maxi Coca Cola e a destra una non meno maxi scodellata di cipster. Un vera parure di diamanti, per via dal costo, che ti spiega come possano le multisale reggere una così scarsa affluenza.

Se fossi una delle “divinità pop” esibitesi ieri allo stadio olimpico direi al più bravo dei miei cacciatori: «Vai e non avere pietà: strappale il cuore». Il cuore di Jessie J, che tra l’altro ha cantato una canzone dal titolo Price tag, “cartellino del prezzo”, in questa Londra che ha appena speso per lo sport 9 miliardi di sterline, che fanno 12 miliardi di euro. Una canzone con un testo che dice: «Perché siamo tutti così ossessionati? / Il denaro non può comprare la felicità / Possiamo rallentare e goderci questo momento / Vi garantisco che ci sentiremo tutti bene». È una canzone banale?

Se i giovani hanno un futuro, passa da qui. È la stessa canzone che, anche se non l’accenna, ha sulla faccia Bolt ogni volta che si accorge che la sua velocità non è roba sua, perché quando un talento è smisurato come una confezione maxi di cipster non è più roba tua, ti trascende. E allora rallenta, Usain, perché non si disveli che è una magia. Come se avesse nelle orecchie la voce di suo padre, Mr. Incredible, che gli sussurra: «Ma rallenta, zuccone, che ti scoprono!». Insomma, il bello di questa e di ogni altra olimpiade è che il cartellino del prezzo te lo dimentichi, e vedi che l’imparzialità forse non è un attributo divino.

A presto. 

Edoardo Varini

(13/08/2012)

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