L’effetto farfalla dalle ali di dragone

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L’effetto farfalla dalle ali di dragone

Vi siete accorti che da tempo consideriamo il mondo un computer? Pensiamo che proceda per logica booleana, vale a dire che ogni espressione (sia matematica o ragionativa poco importa) possa risultare in due soli valori: vero o falso. Prendete il caso delle elezioni greche.

Ipotesi A: vincono i conservatori di Nea Demokratia, la Grecia rimane nell’euro e il mondo è salvo. Perché è questo che si diceva fino all’altrieri.

Ipotesi B: vince la sinistra radicale di Syriza, che promette di cancellare le misure di austerità imposte dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario – con la conseguente uscita dall’euro – e il mondo è perduto.

Oggi sappiamo che a verificarsi è stata l’Ipotesi A: dunque il mondo è salvo? E allora com’è che gli indici caracollano vistosamente? Scrivo alle 16.51 di lunedì 18 giugno e queste sono le quotazioni: FTSE MIB -2,2% (noi più negativi di tutti: mai dimenticarsi, con Moretti, che siamo il paese di Alberto Sordi); FTSE 100 +0,28; DAX +0,55; Dow Jones +0,09; Nasdaq 100 +0,56.

Proprio sicuri che il voto greco abbia salvato il mondo? E proprio sicuri che la mancata salvezza sia una sorpresa? Oppure un così reiterato stupore – perché ogni volta è così: al dato “decisivo” segue conferma opposta – inizia a suonare un tantinello fasullo?

Vorrei dirla con il menestrello del Greenwich Village: «And how many times must a man…» e quante altre volte ancora dovremo credere che sia un evento a salvare le nostre vite, prima di capire che dovranno essere le nostre vite a salvare gli eventi?

Ho come il sospetto che avvertire sulle nostre minuscole, limitatissime e tuttavia insostituibili esistenze la responsabilità della nostra salvezza o la colpa della nostra rovina sia qualcosa di straordinariamente più solido ed auspicabile del far dipendere sempre il nostro domani dal battito di farfalla all’altro capo del mondo.

È qualcosa che pone nell’unico stato d’animo che può predisporre all’azione responsabile: la coscienza della possibilità dell’autodeterminazione. Lo so, lo so che è tutto terribilmente – ma anche meravigliosamente – concatenato. Scriveva Turing in un saggo del ’50:

«Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza».

Ma spesso è inutile e dannoso indugiare sull’imponderabile.

È così difficile capire che occorre riappropriarsi del proprio tempo e del proprio pensiero per riappropriarsi della propria vita?

Alla pagina di giornale che riporta che negli ultimi vent’anni le emissioni di anidride carbonica sono aumentate del 49 per cento e che ciò determina una concentrazione della stessa in atmosfera di 396 parti per milione, e che la soglia della sicurezza climatica (350 parti per milione) è superata, fa seguito quella in cui Lamborghini, Bentley Porsche e Maserati presentano supercar tra i 400 e i 600 cavalli. Ma – perdonate la rozzezza d’esposizione – ma la vogliamo piantare? Ma una civiltà, una qualunque civiltà, non dovrebbe avere una sua pur sommaria affinità d’intenti? Una seppur larvale comune e minima coscienza? 

Ma non vi fa riflettere che la definizione più calzante che possiamo dare alla nostra realtà economico-finanziaria è quella di una neoplasia, di un cancro: «una massa anormale di tessuto che cresce in eccesso e in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali, e persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo?». Un produzione pletorica e scoordinata indotta da un capitale privato che è ormai sorretto primariamente dal debito pubblico? E andiamo a vedere lo spread?


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Personalmente del valore dello spread di oggi e di domani non m’importa nulla. Quello non è nemmeno il battito di farfalla. Quello è il farfallone immobile della grande speculazione internazionale che se lo guardi bene, se lo guardi da vicino, scopri che è un pipistrello, un dragone, e che le ali non le muove nemmeno. Perché non ha bisogno di andare da nessuna parte. Sta benissimo dove sta e siccome non è mai pago vuol trasformare quel già per lui molto confortevole luogo nell’Inferno.

È forse proprio il demone pipistrello del Chaco di cui ci parla Claude Lévi Strauss in Dal miele alle ceneri, che va ammucchiando le teste mozze delle sue vittime nella sua grotta. A connotarlo è la sovrumana fissità dell’idiozia.

Ed è lui che seguiamo e non la Pizia, quando giungiamo al tripode di Dow Jones, Nikkei e Dax e balbettiamo la richiesta del vaticinio.

In questo istante gli indici di Borsa mondiali vanno ancor peggio di quando ho iniziato a scrivere. Ma questo non avvicina né allontana la salvezza del mondo di una virgola, di un niente, del più piccolo tra i semi, quello di senape. Ne leggiamo nei Vangeli sinottici e in quello di Tommaso. Permettetemi di citare quest’ultimo: 

(20) «I discepoli dissero a Gesù, “Dicci com’è il Regno dei Cieli.” E lui disse loro, “È come un seme di senape, il più piccolo dei semi, ma quando cade sul terreno coltivato produce una grande pianta e diventa un riparo per gli uccelli del cielo.”»

E  il terreno coltivato è, con corrusca evidenza, il nostro cuore. 

A presto. 

Edoardo Varini

(18/06/2012)


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