Alla fine ci sono arrivato
come tanto tempo fa
la sensazione non è differente
la posizione lo è
e non avrei mai detto
non avrei mai pensato
di fermarmi qui
con qualche rimpianto
con una storia già vista
nel cuore
cuore stretto
Amaro calice
che tuttavia non uccide
né fa più forti
Quella sera
quella sera
ancora una volta non ho condiviso
che poco di me
e ancora questo mi ha aiutato
ancora mi logora
e diventa
ogni giorno di più
cristallo
***
Liber Amicorum III
Non molto tempo era trascorso
dall’ultima solitudine
che un raggio sottile penetrò nella mente
dell’Amico e ne risvegliò, sia pure debolmente,
gl’istinti e le forze.
S’alzò, come intorpidito da un sonno secolare,
come destato dall’ipnosi, sudato, molle,
privo d’energie, ma forte come non lo era mai stato.
Il crepuscolo s’appressava rapidamente
ma egli sapeva dominare la notte e il giorno,
sapeva trasformarli, invertirne il corso,
gridare fermati, sole!
poiché tutto non si svolgeva che nel labirinto misterioso,
nelle anse grigie del fiume dei pensieri,
attenti ora a coglier la realtà che ne stuzzicava
l’epidermide.
Non tre volte la luna fu alta nel cielo,
gradatamente assottigliantesi,
non ottomila giorni furon trascorsi in solitudine ancora
ch’il mondo prese a ruotare più veloce, le albe
e i tramonti ebbero colori più violenti e strani
tali che nessuna mente li ebbe mai sognati,
la gente cominciò a sorridere con visi d’acqua
e di vento
e le rughe sui visi non furono più
così brutte, se mai lo erano state.
Qualcosa è cambiato.
Queste furono le prime parole dell’Amico.
E i suoi occhi erano lontani.
Nulla di ciò che finora è stato
può esser considerato Vero …
d’un tratto un tremore lieve.
L’Amico si fermò ad ascoltare, in piedi
in mezzo al cortile imbrunito dall’ora.
Un lieve tintinnìo di vetri, uno spalancarsi
di porte, un ululato vicino, raffiche di vento improvviso.
Cosa succede?…
Bam! un vetro infranto; i blocchi squadrati di marmo
del muro che cinge la Casa si sfregano tra loro e
nuvolette di polvere coprono il pavimento che trema,
ora più forte.
Ecco! una colonna si contorce cade un lastrone,
tutto si scuote. Fuggi!
Fuggi Amico dalla Casa, esci dalle mura, corri!
D’un tratto tutto si scuote violento affonda il tetto
i muri si squarciano assordanti, si gonfia la terra.
L’Amico cade, impietrito dal terrore, dallo stupore.
Si rialza. Cade nuovamente, mentre pietre e macigni
gli rotolano intorno e un rombo sotterraneo, forte,
fortissimo impedisce il pensiero.
Ecco, finalmente è fuori, l’Amico è in salvo, affannato,
sporco di polvere bianca, stravolto.
Si volta, ormai naufrago sulla riva assolata,
guarda la Casa distrutta.
La terra, nel centro del cortile si gonfia, si gonfia
sempre più, anche i resti dei muri si sfasciano
e poi uno scoppio tremendo, assordante, infernale.
Pietre, sassi, ceneri e lapilli scaraventati per ogni dove,
tutto brucia, tutto viene distrutto dalla furia
della natura.
Cosa succede… devo scappare …
Si alza, la pelle bruciata, coperto di scorie, di segni,
di sangue, gli occhi sbarrati, corre a stento, zoppicando,
lacero; i gesti irregolari, contratti, tenta di proteggersi
dalla pioggia terrena.
Si getta dietro un dosso, si ferma, raggomitolato e
impaurito, le mani che stringono i ginocchi, la testa
reclinata.
Collo scorrere del tempo la furia pare placarsi, senza fretta.
Silenzio. Scoppiettii di fuochi sparsi, pietre che rotolano
le une addosso alle altre.
Ciò che della Casa era rimasto salvo era solo il ricordo.
Le Grotte dell’Ilva, ecco quello che vedeva, terme fiesolane
ora sassi e sterpaglia bruciata.
Un gran cratere fumante nel mezzo ancora eruttava fumo
nero e denso.
Pian piano, col passare delle ore, il buio riprese
il sopravvento, i fuochi si fecero via via più deboli,
prima piccole fiammelle, poi rossi tizzoni
aizzati dalla brezza, poi nulla.
Nel silenzio più assoluto (ora nemmeno la cicale
potevano udirsi) l’Amico rimase immobile,
in piedi accanto al suo antico rifugio.
Non pianse, né mosse muscoli o palpebre; così per ore,
finché non cadde esausto, e già l’albeggiar s’approssimava.