L’arte, il design e l’economia (di mercato)

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di Massimo Bertani

Il design è il ricettacolo dei contrari [1]. In esso contrarie visioni del mondo, opposti istinti, antitetiche parole d’ordine e frasi fatte e contraddittorie immaginazioni permangono senza peraltro giungere mai a mediazione. La ricerca stessa dell’equilibrio dei contrari si oppone ad una ammissibile esigenza di disequilibrio. Il non giungere a soluzione delle contraddizioni, sapendole però coglierle e cavalcare, consente al design un surplus di energia creativa, di esasperato dinamismo e di potenza d’offerta.

Per assurdo l’infittirsi delle regole, il moltiplicarsi dei saperi e dei ruoli, la produzione di specialisti, di specialità e di specialismi favorisce la babelica presenza dei contrari al punto che il design pare essere il campo di calcio in cui ogni giocatore possa prendere il pallone, gettarlo sugli spalti contemporaneamente gridando «Goal» [2].

Del design mai si potrà dire come dell’arte che «L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte» [3], e questo perché alla fin della fiera attaccato a qualsiasi oggetto di design vi è sempre un libretto di istruzioni per l’uso. È evidente che la funzione di utilità – funzione molto più scivolosa e complessa di quanto si è soliti ritenere [4]  non esaurisce il senso del design. Nondimeno essa costringe l’oggetto di design in un circuito di presentazioni, istruzioni e garanzie completamente estraneo, se non addirittura letale, per l’oggetto d’arte.

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«L’arte – scrive Loredana Parmesani [5] – non si avvale di strumenti linguistici a essa estranei per definirsi». [6] Autosufficienza e solitudine dell’opera d’arte rispetto alle quali il design si differenzia argomentando per caratteristiche/vantaggi, istruendo e garantendo secondo logica del soddisfatto o rimborsati. Autonomia e solitudine dell’opera d’arte che comunque non la emancipano dalla logica di mercato nella quale essa si presenta incastonata, forse prima tra pari componenti, in un complesso sistema finalizzato a cogliere la massima efficacia.

L’autonomia dell’arte, la (forse) sua libertà rispetto al design non si misura in relazione al mercato. E il design non è lo spazio di tormento spirituale tra arte ed economia, tra il predicare bene e il razzolare male. Il mercato, tavolo da gioco degli equivalenti nel quale si parla il numerico esperanto dell’equivalente universale, è il campo di esercizio sia dell’arte sia del design, nel quale lo sviluppo del talento lascia posto allo sviluppo del profitto.

Arte/design ed economia: non vi è soluzione di continuità. Non esistono confini, margini dai quali cogliere reconditi significati di uno o dell’altro.  Da questa, nel senso letterale del termine, presa di posizione è possibile guardare l’economia con l’ottica dell’arte/design e all’arte/design con l’ottica dell’economia con l’obiettivo sia di sviluppare un pensiero critico, sia di cogliere suggestioni, pensieri, collegamenti che possano ampliare le possibilità di ricerca ed espressione delle singole discipline.


[1] Chiaramente a titolo non esaustivo: industria/artigianato, tecnica/arte, valore d’uso/valore di scambio, essenzialità/ridondanza, concentrazione/dispersione, natura/cultura…

[2] Ma questa, si badi bene è solo una impressione.

[3] Dino Formaggio, Arte, ISEDI, 1973

[4] Mi ha sempre dato da pensare l’utilizzo della scodella per delineare la superficie di taglio dei capelli…

[5] Loredana Parmesani, L’arte del XX secolo e oltre, 2012 Skira.

[6] Si noti la sottile assurdità della frase citata: la definizione dell’arte come di ciò che non necessita di strumenti linguistici ad essa estranei per definirsi, si avvale appunto di strumenti linguistici ad essa estranei. Un pensiero e una preghiera alla memoria di zio Ludwig W. e alla sua scala che bisogna gettare via dopo che si è saliti…

Nella figura:  De Pas, Durbino, Lomazzi – Zanotta: Appendiabiti SCIANGAI


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